Looper è un film di fantascienza ambientato in un futuro dove i viaggi nel tempo sono possibili, ma illegali. Per questo vengono usati di nascosto solo da organizzazioni criminali per far sparire ogni traccia dei corpi delle loro vittime. Come? Vengono inviati ancora vivi nel passato dove un loro assassino, detto appunto looper, li ucciderà all’istante e si occuperà di occultarne il cadavere. Le cose si complicano quando il looper, fucile in mano, si trova di fronte a se stesso…
La premessa della storia è avvincente, ma avvertiamo che se vi aspettate dettagli più specifici su come avviene il viaggio nel tempo, rimarrete delusi. Anzi, se si presta un po’ di attenzione durante il film si incappa in qualche incongruenza (o paradosso) spazio-temporale. Dopo qualche minuto, il film prende chiaramente una strada differente da quella prettamente fantascientifica, per cui ci rendiamo conto che questi dettagli non sono così importanti. In effetti il film si può identificare più come film d’azione, con inseguimenti e sparatorie che rendono lo svolgimento molto avvincente, lasciando però ampio spazio anche sentimenti e riflessioni.
Nel complesso un buon film, consigliato grazie anche al bel finale.
Difficile parlare de Lo Hobbit senza fare paragoni con la saga precedente: le due storie sono infatti, per quanto collegate, molto diverse e di certo non ci si deve aspettare l’epicità de Il Signore degli Anelli. Sta di fatto che lo stesso Peter Jackson ha aggiunto alla storia un piccolo prologo che aiuta lo spettatore a collegare le due vicende, e questo pertanto crea un ponte che porta automaticamente, anche solo inconsciamente, a fare paragoni, cosa pericolosa in quanto Lo Hobbit, per questo primo capitolo, ne esce inevitabilmente sconfitto.
Intendiamoci, non stiamo parlando di un brutto film, ma è da considerare che il materiale letterario di partenza è molto meno corposo e differente rispetto ai 3 film precedenti. Il risultato è un film molto descrittivo e che, di fatto, anche con l’arrivo della parte più prettamente d’azione e avventura, “non parte mai”. O meglio, sembra farlo proprio un secondo prima che scattino i titoli di coda. Sostanzialmente, quello di cui soffre visibilmente il film è la suddivisione in 3 capitoli rispetto ai due programmati. Possiamo capire le ragioni commerciali di questa operazione, ma sinceramente non comprendo perché ostinarsi a farlo durare così tanto. Un montaggio più selettivo avrebbe aiutato moltissimo a migliorare la resa finale.
In sostanza Peter Jackson deve capire che un film può durare anche meno di 3 ore.
Parlando del 3D, personalmente sono rimasto deluso. Lo Hobbit infatti è uno dei pochissimi film girato nativamente in 3D (e non girato in 2D e poi convertito in post-produzione come la stragrande maggioranza); tuttavia non si vede da parte del regista nessuno sforzo per adeguarsi alla terza dimensione, che ricordiamo prevede regole differenti da quelle tradizionali. Il film è del tutto uguale, per montaggio, inquadrature e movimenti di macchina, ai suoi precedenti, rendendo spesso poco percepibile o nullo l’effetto 3D (in alcuni casi anche fastidioso). Poteva essere sfruttato decisamente molto meglio.
Sono passati molti anni ormai dall’uscita del primo Men in Black, ma fortunatamente in questo terzo capitolo l’atmosfera e lo stile inconfondibile dei protagonisti non sono cambiati, e questa sicuramente è la notizia migliore per i fan della saga.
L’intreccio basato sul “salto” (letterale) indietro nel tempo offre un’occasione ghiottissima per l’ironia tipica degli uomini in nero, ma anche per calcare la mano sulla fantascienza in salsa vintage, che ha sempre fatto capolino fin dal primo episodio.
Perfetto e credibilissimo Josh Brolin nel ruolo del giovane K. L’uso del 3D è molto dosato (quindi non aspettatevi effettoni evidenti di oggetti che invadono la sala se non in qualche specifica occasione), garantendo però una visione molto gradevole e mai affaticante o fastidiosa.
Mettete insieme un “sex toy” tipicamente femminile, la Londra puritana del 1880 e un pizzico (ma proprio piccolo) di storia vera. Viste le premesse, il risultato è straordinariamente sorprendente e vede il suo punto di forza principale nel mantenere costantemente a debita distanza la provocazione e la volgarità, anche nelle situazioni più “piccanti” (specifichiamo che nulla viene mai mostrato ma solo evocato).
Hysteria si presenta perciò al pubblico come una commedia dalla premessa originale e ben congeniata, che diverte sopratutto per il contrasto fra l’argomento trattato e il modo serioso (oserei dire quasi da “luminari”) in cui viene affrontato dai protagonisti. Il tentativo di insrerie qualche tematica sociale (la condizione della donna, i preconcetti della medicina dell’epoca verso le nuove scoperte) non si può dire riuscito un gran che, ma rappresenta comunque un contorno interessante di quella che deve essere presa per quello che é: una commedia che ci mostra la vera origine terapeutica e, nel suo piccolo, la genialità di un oggetto di cui oggi ci si vergogna a fare il nome.
Se vi è piaicuto il primo Sherlock Holmes e avete dubbi sul vedere o no il seguito, andate tranquilli, anzi corrette al cinema perché il secondo capitolo è sicuramente migliore. Ora che i personaggi, e la rivisitazione, non devono più essere presentati, tutto scorre più fluido, sia dal punto di vista della sceneggiatura che della regia, lasciando spazio a trovate divertenti e creative. Ovviamente la coppia Robert Downey Jr – Jude Law è ancora più affiatata e solo quella, coadiuvata anche da alcuni nuovi personaggi, vale la visione del film.
L’impressione di trovarsi di fronte a un flm di Steven Spielberg degli anni d’oro (tra un E.T. e un Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo) è più che fondata, non solo per il richiamo delle atmosfere e dei personaggi: è una scelta chiara da parte del regista, che riesce ad usare queste citazioni a suo favore, facendo emergere chiaramente la “sua versione” (della storia e di cinema), in puro stile J.J. Abrams.